Le otto donne uccise a Milano e la svolta in laboratorio. Sangue e frammenti: Emiliano Giardina, il genetista forense di Ignoto 1 (l’inchiesta sull’uccisione di Yara Gambirasio, ha isolato un profilo genetico del loro assassino.
Il valore investigativo della scoperta potrebbe pareggiare, e forse anche superare, quello scientifico, comunque raro nella genesi, nell’evoluzione e soprattutto nei tempi. Al lavoro sugli otto cold case di donne avvenuti a Milano negli anni Sessanta e Settanta, il professor Emiliano Giardina, il genetista forense di Ignoto 1 — l’inchiesta sull’uccisione di Yara Gambirasio —, ha isolato un profilo genetico.
L’estrapolazione di un Dna da pochi frammenti relativi a una presunta scena del crimine — frammenti conservati dai famigliari di una vittima che si sono affidati all’avvocatoValter Biscotti —, è perfettamente riuscita nonostante la distanza siderale da allora, con gli inevitabili rischi di una contaminazione e di un deterioramento. Non era scontato, al contrario. Invece su quei frammenti, forse parte di un oggetto d’arredo afferrato da una delle donne nell’inutile tentativo di difendersi, i residui di sangue si sono conservati permettendo a Giardina il confronto, insieme forse a ulteriori elementi che potrebbero agevolare nuove rivelazioni. Si tratta di capelli, pare. Ancora presto per certificare «verità», a partire dalla conferma di un Dna maschile oppure femminile, ma lo scenario allestito dopo tre mesi di «contro-inchiesta» non toglie, sui delitti irrisolti raccontati fin dall’inizio dal Corriere, l’introduzione di un ulteriore elemento dopo l’ultimo acquisito: i collegamenti emersi nella «rilettura» dei referti autoptici da parte del criminologo Franco Posa, il quale ha altresì mappato un triangolo geografico milanese nel quale il serial killer avrebbe vissuto e/o lavorato (una geografia centralissima, tra via Filzi, piazza Cordusio e via Pace).
Dal primo cold case in ordine cronologico (Olimpia Drusin nel 1963) all’ultimo (Tiziana Moscadelli nel 1976), le perizie dei medici legali e in nostro possesso, se esaminate non singolarmente cristallizzano quattro legami. Primo, il modus operandi del serial killer, che attaccò le vittime in posizione frontale. Secondo, il rapporto di conoscenza tra lui e le donne, colte di sorpresa e incapaci di reagire. Terzo legame, l’arma: difficile una casualità nelle lesioni provocate a Olimpia da una lama larga tre centimetri e lunga quindici, e altri omicidi per i quali si ipotizzò un’arma larga tra i due e i tre centimetri, e lunga tra i dodici e i quindici. Quarto e ultimo, la coincidenza di una ferita sotto il mento in almeno tre delitti, forse una «firma» del killer.
Elisa Casarotto (assassinata nel 1964) vantava una profonda amicizia con Adele Margherita Dossena, massacrata sei anni più tardi, mentre oltre a quest’ultima donna, anche la stilista Valentina Masneri e la commessa Salvina Rota furono uccise nella zona tra Porta Venezia e la stazione Centrale, un’area molto frequentata sia da Olimpia, che lì si vendeva, sia dalla vittima del caso più mediatico, quello della Cattolica. Simonetta Ferrero aveva l’abitudine di trascorrere pomeriggi e serate in un cineforum di via Vitruvio. Detto di Olimpia, anche Elisa e Tiziana (aveva vent’anni, la vittima più giovane) erano prostitute, così come, a un livello non «ufficiale» ma confermato da poliziotti di quegli anni, lo erano Salvina e Alba Trosti, di origini borghesi, precipitata in disgrazia dopo rovinose storie sentimentali, e uccisa in una pensione di via Soncino, non lontano dal Duomo. La struttura affittava stanze economiche a studenti e operai, dunque era identica a quella gestita da Adele Margherita. Un ex agente della Criminalpol operativo a Milano ha suggerito il tema dei bicchierini e del liquore: Adele Margherita e Valentina offrirono entrambe da bere, invitandolo a sedersi in soggiorno, all’uomo che le avrebbe trucidate, poi scappando senza lasciare testimoni.
La facilità di ingresso negli appartamenti evidenzia la teoria di una persona già nota alle vittime oppure, se invece non appartenente alle loro vite, capace di ispirare fiducia. Forse grazie al proprio mestiere; forse in conseguenza degli abiti indossati, di quelli che inducono i cittadini a non temere, e sotto i quali nascondeva la lama, forse un pugnale. Indipendentemente dai mesi, visto che uccise in ogni stagione, preferendo le ore del giorno anziché il buio.