Cold case anni ‘70, l’avvocato Biscotti: reperti e Dna. Un numero per le segnalazioni
L’avvocato Valter Biscotti è uno dei massimi penalisti italiani. Il legale 61enne si è fin qui occupato, in ordine sparso, dei casi Kercher, Parolisi, Scazzi, dell’omicidio dell’Olgiata, del delitto Pecorelli; al processo contro le ultime Brigate rosse era parte civile. Adesso c’è questa nuova sfida, enorme, che ha le sue fondamenta in una Milano lontana, tragica, dilaniata dal terrorismo, dai sequestri di persona, dalla guerra della criminalità organizzata. E dai cold case di otto donne (un numero forse ancora parziale) assassinate senza mai che appunto venisse trovato l’omicida. Omicida che, nella ricostruzione del pool di criminologici guidati da Franco Posa, potrebbe essere stato uno solo. Dunque un serial killer, che in base alle analisi di sofisticati software americani potrebbe vivere o aver vissuto in una precisa area cittadina, un triangolo compreso fra via Filzi, piazza Cordusio e via Pace.
Avvocato, ma non è trascorso troppo tempo? I primi omicidi sui quali si lavora, quelli delle prostitute Olimpia Drusin ed Elisa Casarotto, sono avvenuti nel 1963 e nel 1964.
«Certamente il tempo non gioca a favore. L’intuizione del dottor Posa e dei suoi collaboratori deve essere però approfondita. L’esame congiunto dei fascicoli processuali può essere la chiave determinante per aggiungere nuovi tasselli di verità e sviluppare nuove indagini».
Ma possibile che all’epoca nessuno ipotizzò una mano comune nei delitti, quantomeno per esplorare anche questa pista? O magari l’ipotetica figura di un serial killer fu sì al centro di ragionamenti di magistrati, carabinieri e poliziotti ma, diciamo, non ufficialmente. O forse, a monte, la città visse un periodo così convulso che a volte mancava il tempo fisico per indagare su ogni donna uccisa?
«Guardi, fino a tutti gli anni Sessanta i fatti di nera riempivano le cronache giudiziarie con celebri casi e processi penali che “appassionavano” tutta l’opinione pubblica. Dalla strage di piazza Fontana in poi e specie a Milano, il cosiddetto delitto politico ha preso il sopravvento sul crimine comune e tutta l’attenzione mediatica e anche investigativa si è concentrata in tale direzione. Pensi solo all’omicidio del commissario Calabresi, un fatto di cui si parla ancora oggi. Ecco, gli omicidi di cui ci stiamo occupando sono proprio di quel periodo che definisco “di transizione”. Forse sono mancati il tempo e la necessità di approfondire».
Quali strumenti avete per dare la caccia all’eventuale serial killer?
«Con la tecnologia esistente, ed inimmaginabile a quel tempo, si possono raggiungere risultati enormi. Pensi solo all’esame del Dna che consente di individuare un colpevole anche a distanza di decenni. Non sappiamo se esiste negli scantinati del palazzo di giustizia qualche reperto dei casi individuati, ma se esistessero sarebbero preziosissimi. Quel che comunque conta è la visione globale dei delitti, dalla quale emergeranno altri elementi comuni».
I prossimi passi?
«Stiamo depositando le nomine di alcuni familiari delle vittime proprio per poter accedere agli atti; poi una squadra di super consulenti di primissimo ordine, in ogni settore, è pronta a portare il proprio contributo specifico per arrivare alla soluzione dei casi, non appena avremo tutti gli atti e gli eventuali reperti. Il lungo passare del tempo può paradossalmente tornare utile. Per mia esperienza ormai trentennale, su questo genere di delitti sono certo che al di là delle verità processuali che si sono formate, esistono sempre altre verità che rimangono nell’ombra per mille motivi: per paura di avere a che fare con certe storie pur non c’entrando nulla; oppure ci sono persone che hanno sempre saputo ma taciuto, o altre che hanno parlato di rado con tardive confessioni, magari in punto di morte. Io sono sicuro che negli angoli più remoti della città c’è ancora qualcuno che sa cosa è successo a quelle donne, e lo può sapere per molte ragioni pur non essendo coinvolto direttamente. È giunto il tempo di lanciare il classico appello del “Chi sa parli”».
Da quando il «Corriere» ha raccontato questa contro-inchiesta e iniziato a seguirne gli sviluppi, abbiamo incontrato non poche reticenze. Una delle rare eccezioni, da subito, è stata l’attrice Agostina Belli, che anzi ha svelato un collegamento tra due vittime, la mamma ed Elisa Casarotto, e che prosegue in quella che lei stessa definisce una «ricerca disperata», con l’auspicio che altri la affianchino.
«Chi sa non abbia paura, non gli potrà succedere davvero niente, ma potrà dare pace e giustizia a tutte le famiglie che da cinquant’anni stanno cercando la verità. Noi siamo qui, per aiutare. Mettiamo a disposizione un indirizzo email e un telefono, nel caso di segnalazioni. L’email: delittimilano@gmail.com, mentre il numero telefonico è il 370.1518179. Per chiamare oppure per lasciare dei messaggi».