La rilettura dei referti autoptici di cinque donne uccise: l’ipotesi di un omicida mancino per Adele Margherita Dossena, Salvina Rota, Simonetta Ferrero, Valentina Masneri e Tiziana Moscadelli.
I cadaveri delle vittime, le azioni del killer. Nella rilettura comparativa dei cinque referti autoptici in possesso del Corriere, il criminologo Franco Posa ha isolato, tra i numerosi elementi, la preponderanza di una mano sinistra. L’ha fatto in relazione alla tipologia, alle dimensioni, alle forme delle lesioni provocate dalla lama contro Adele Margherita Dossena (uccisa nel 1970), Salvina Rota e Simonetta Ferrero (1971), Valentina Masneri (1975) e Tiziana Moscadelli (1976).
Da un’immediata e anche scontata considerazione, quella mano sinistra potrebbe configurare un assassino seriale mancino. Ma al contempo, potrebbe fornire nuovi dettagli su questi cinque cold case che, unitamente ad altri tre (Olimpia Drusin, Elisa Casarotto, Alba Trosti) si ipotizza siano stati commessi da un unico uomo. Un uomo che, secondo lo studio realizzato attraverso un software americano di geo-localizzazione in uso alla polizia di New York e poi modulato da Posa sulla geografia milanese, vivrebbe o avrebbe vissuto (oppure lavorato) in un triangolo geografico cittadino compreso tra via Filzi, piazza Cordusio e via Pace. Lo scenario alternativo alla presenza di un mancino sulle scene del crimine, in maggioranza ambientate nell’area tra Porta Venezia e la stazione Centrale, in quegli anni angolo nero di perdizione e criminalità, rimanda ai seguenti ragionamenti.
I referti confermano il medesimo approccio del serial killer, in posizione frontale rispetto alle vittime; l’iniziale sorpresa delle donne, aggredite da una persona che sempre conoscevano (a volte accogliendola tranquillamente in casa e offrendo un bicchiere di liquore); la disperata successiva mossa delle stesse vittime, non appena colpite, ovvero girarsi e alzare un braccio a propria inutile difesa; ulteriori affondi dell’assassino con la lama dopo aver bloccato con la mano destra le donne. In quest’ultimo caso, dunque, proprio per fermare le prede e proseguire con i colpi, il serial killer avrebbe forse cambiato mano, spostando sulla sinistra il coltello per terminare il massacro dopo averlo cominciato con la destra.
In almeno tre casi, e fra questi rientra il delitto più mediatico (Simonetta, devastata da 49 fendenti in un bagno dell’università Cattolica), vi è poi un ulteriore segno comune. Presto per affermare, ufficialmente, che si tratti di una definitiva «firma» oppure un «marchio». Eppure Posa rimarca come le ferite in coincidenza del mento, a maggior ragione nel corso di una furente opera assassina (l’alto numero dei colpi è una costante, colpi a segno anche quanto le vittime erano decedute) difficilmente non richiamano il riproposto modus operandi di una singola persona.
Come scrivono i medici legali che esaminarono quei cadaveri, il serial killer ha manovrato una lama che taglia su un unico versante, larga tra i 2 e i 3 centimetri, e lunga tra i 12 e i 15 centimetri, un’arma in perenne compagnia di un assassino insospettabile e che, forse in conseguenza del proprio lavoro — e magari anche degli stessi indumenti indossati per svolgere la professione — non innescava nel prossimo un senso di allerta ma al contrario otteneva un’immediata fiducia, salvo «seguire» la propria rabbia e ammazzare forse dopo un rifiuto di natura sessuale.