I criminologi isolano un altro caso. Alba Trosti, 55 anni, ambulante di stringhe e di notte prostituta, fu uccisa nella centrale via Soncino.
Vendeva sesso, Alba Trosti. Anche lei. Come altre tre, pur nel suo caso nascondendo la prostituzione dietro la facciata del lavoro di ambulante di stringhe. Di sera Alba, 55 anni, lontane parentele con un vecchio sindaco, tirava tardi cercando uomini nella vicina via Torino. Sconfinamenti nel buio come forse faceva anche Salvina Rota, di mattina commessa in un supermercato. Alba viveva in una pensione, una di quelle piene di studenti, operai e ferrovieri, a basso prezzo. Una struttura simile per coordinate e popolazione alla locanda gestita da Adele Margherita Dossena, mamma dell’attrice Agostina Belli.
Nell’interminabile elenco di donne uccise negli anni Sessanta e Settanta, il pool di criminologi allo studio sull’ipotesi di un serial killer che il Corriere sta raccontando da inizio anno, ha scartato decine di omicidi ma ha adesso inserito il caso Trosti, la quale fu ammazzata nel sottoscala della pensione dove alloggiava, ormai da ospite fissa, beneficiando per pagare l’affitto dei risparmi del papà, in via Soncino 3. Alla pari delle prostitute Olimpia Drusin, Elisa Casarotto e Tiziana Moscadelli, delle stesse Dossena e Rota, infine di Simonetta Ferrero e Valentina Masneri, ulteriori morti comprese nello schema di supposizioni, anche Alba non fu derubata.
In totale, i fascicoli da riesaminare sono dunque otto. Rota e Trosti, assassinata all’inizio dell’ottobre 1969, furono entrambe strangolate. Se è vero che altrove il modus operandi registrò discordanze, ovvero il coltello alternato al pugnale, con loro due, ragionano i criminologi diretti da Franco Posa, il serial killer, che «preferiva» le armi bianche, ha fatto ricorso ad alternative utilizzate nel caso di «contrattempi». Quella notte, intorno alle due, dall’alto delle scale della pensione, tre ragazzi scorsero delle ombre, quelle di Adele e di un uomo; si appostarono non lesinando parole volgari di apprezzamento ad alta voce e così innescarono, forse modificarono il piano dell’assassino, del quale sembra rimase traccia sulla corda di nylon manovrata per l’omicidio. Se mai le catacombe del tribunale hanno conservato il reperto difendendolo dalle pesanti infiltrazioni e della dilagante umidità, lo si vedrà in sede di eventuale verifica, previa l’acquisizione dei fascicoli alla quale lavora l’avvocato Valter Biscotti, uno dei massimi penalisti italiani, esperto in cold case.
Nell’impianto della «contro-inchiesta», la sequenza cronologica dei delitti è ancora priva di una linea continua, fatto che peraltro innesca analisi sulle stagioni dell’omicida, «distante» per anni dalle scene del crimine in conseguenza di chissà quali motivi (forse ricoverato o in carcere, forse via per lavoro).
Il presunto esordio di morte è datato 1963, con l’uccisione di Olimpia, in via Giovanni Pontano, a bordo della sua macchina stranamente parcheggiata a venti metri dalla casa di una cara amica, come raccontato dal figlio. L’anno dopo, in un bosco di pioppi a Lacchiarella affollato di prostitute, la fine di Elisa la cui esistenza aveva incrociato quella di Adele Margherita Dossena (molto amiche, si regalavano gite sul lago e al casinò di Campione d’Italia, non per forza destinate ai tavoli da gioco, attorno ai quali si aggiravano usurai). Anche quest’ultima donna conosceva l’uomo tramutatosi in killer. Come Valentina. Come Salvina. Come Tiziana…