La «contro-inchiesta» sui delitti avvenuti negli anni Sessanta e Settanta: c’era un collegamento tra Elisa Casarotto e Adele Margherita Dossena, ma chi indagò all’epoca non andò a fondo
Una fotografia. In bianco e nero. Testimonianza di una gita sul lago. Una delle tante che le due amiche Elisa Casarotto e Adele Margherita Dossena, due delle sette vittime del presunto serial killer degli anni Sessanta e Settanta, si concedevano, insieme a frequentazioni di Campione d’Italia, forse per sostare ai tavoli da gioco o forse per incontrare gli usurai che là dimoravano. L’immagine è la prima prova di un collegamento tra due delle donne assassinate, in una «contro inchiesta» lanciata dal criminologo Franco Posa e con in azione uno dei massimi penalisti d’Italia, l’avvocato Valter Biscotti, che sta per presentare un’istanza per riaprire i primi fascicoli.
Assassinata dall’uomo salito sulla sua macchina per un rapporto sessuale e poi suo assassino. Erano le diciassette, mese di maggio del 1964. Elisa Casarotto, 29enne veronese, moriva a causa dei fendenti inferti con un pugnale. Come Olimpia Drusin, cinque mesi prima. Due dei sette casi irrisolti per i quali il criminologo Franco Posa, come sta raccontando il Corriere, ipotizza l’azione di un unico killer, con abitazione oppure luogo di lavoro all’interno di un preciso triangolo geografico compreso fra via Filzi, piazza Cordusio e via Pace.
Un serial killer di Milano che tra gli anni Sessanta e Settanta avrebbe ammazzato anche Simonetta Ferrero (alla Cattolica, l’omicidio più mediatico), la stilista Valentina Masneri, la commessa Salvina Rota, una terza prostituta, Tiziana Moscadelli, infine nel 1970 Adele Margherita Dossena, che gestiva una pensione al civico 18 di via Copernico.
Quest’ultima donna, mamma dell’attrice Agostina Belli, era molto amica di Elisa Casarotto, come prova la fotografia che vedete qui sopra. Un collegamento diretto tra due vittime le quali, nonostante la differenza d’età (vent’anni) e i percorsi esistenziali (Dossena separata con due figlie, Casarotto nubile) avevano stretto un profondo legame. Per quale motivo, non si sa. Ma resta il fatto che chi indagò all’epoca, poliziotti e carabinieri, in una Milano tragica e funerea, colpita dai brigatisti e dalla guerra della criminalità organizzata, non volle oppure non riuscì a stabilire per appunto delle connessioni. Valutazioni spunto invece di riflessione oltreché di Posa e del suo staff, composto da giovani criminologi, anche dell’avvocato Valter Biscotti, uno dei massimi penalisti italiani, esperto di cold case, il quale, per intanto, da difensore di Agostina Belli sta preparando l’istanza da presentare alla Procura di Milano per chiedere il fascicolo della mamma dell’attrice, straziata a 45 anni da un uomo che conosceva e omicida non per una rapina (sia con Olimpia che con Elisa, il killer non toccò i soldi nella borsetta).
Altrimenti, l’orologio d’oro e un anello sarebbero stati portati via e non lasciati lì dov’erano, in mostra su di un comodino nei due spartani locali all’interno della pensione di via Copernico che fungevano da casa e da ufficio di Adele Margherita, che affittava otto stanze per lo più a studenti universitari e ferrovieri. Laddove all’epoca gli inquirenti batterono la pista di un tassista, i ferrovieri possono essere, a livello per adesso ipotetico, una scia da percorrere, in considerazione della stessa clientela della pensione, della vicinanza della stazione Centrale e di un uomo, a lungo sospettato per il delitto di Salvina Rota, 22enne che lavorava in un supermercato di largo Alpini e abitava al 4 di via Tonale. L’uomo era impiegato proprio sui treni. L’alibi fu considerato attendibile, lui uscì dall’inchiesta.
Con due sorelle, successivamente numerosi nipoti e cugini, Elisa Casarotto arrivò a Milano dal Veneto trovando alloggio a Villapizzone, in periferia, e lavorando come parrucchiera e stiratrice in due negozi della zona, salvo decidere di abbandonare i mestieri. Il luogo dove si prostituiva, insieme a decine di ragazze, era a Lacchiarella, nell’hinterland, in un bosco di pioppi, nelle prossimità di una cascina. Le indagini si focalizzarono, come con Olimpia Drusin, sul giro di uomini che la frequentavano, senza scoprire alcunché, anche se, come raccontato dal figlio di Olimpia al Corriere, la scena del crimine fu anomala da subito. La madre, in strada ribattezzata «Ollie la rossa» mentre Elisa era la «Betty dei camionisti», anziché appartarsi come abitudine tra Porta Venezia e la Centrale si spinse fino a via Giovanni Pontano, peraltro a una ventina di metri di distanza dall’abitazione di un’amica, che per la cronaca nulla sentì e nulla vide. Possibile? E, proseguendo con le domande, quali altre persone componevano il giro di Elisa e Adele Margherita andando insieme a loro nelle passeggiate sul lungo lago, oppure, pare, a Campione d’Italia, forse per giocare al casinò forse per incontrare qualcuno dell’ampia, variegata fauna umana di strozzini che stazionavano davanti alla casa da gioco?
Se di Olimpia vi fu traccia di debiti, che tragicamente la fecero precipitare nella prostituzione e l’obbligarono a cambiare vorticosamente indirizzo per scappare dalle malelingue, non risultano problemi economici per Adele Margherita ed Elisa, le quali forse, assassinate nell’identico modus operandi e con l’anomala condivisione di un killer senza nome, erano in possesso di segreti. Soprattutto la prima, colpita alle spalle da un uomo che conosceva: gli aveva aperto la porta e l’aveva fatto accomodare, preparando sul tavolino un bicchiere di liquore e un vassoio di caramelle Sperlari.